Mura ciclopiche

Il presente articolo tenterà di definire quali sono state le diverse tipologie di mura ciclopiche del quale oggi possiamo avere lontano riscontro. Questa ricerca parte da un preciso presupposto, quello in base al quale in un certo periodo storico non ben individuato, una o più culture non umane come da umano attuale, hanno costruito muri ciclopici, pertanto si va ad indagare un periodo che va oltre il 1500 A.C. In quel periodo sulla Terra erano presenti culture umanoidi giganti penta ed esadattili, così come pure sono esistiti umanoidi di piccola statura. Occorre quindi oggi tentare di stabilire chi, perché e come, fu autore di quanto ancora riscontrabile, sia a livello di lavorazione della pietra, quanto a livello di diversità genetica. Ora però andremo dietro le tracce lasciate mediante la pietra, quella che ora ci parla.
Benché una certa logica ci possa far ipotizzare che le costruzioni ciclopiche sono state costruite dai ciclopi, occorre evidenziare il fatto che seppure eventuali giganti potevano avere una notevole forza fisica, nulla avrebbero potuto se rapportata ai massi giganteschi che andremo a considerare. Tutt’altro panorama traspare se però in quel periodo i costruttori ed i distruttori disponevano di avanzatissima tecnologia, oggi negata.
Se noi oggi andiamo ad osservare le diverse tipologie di muri megalitici, riscontriamo il fatto che ve ne sono di diverse tipologie in quanto ad estetica, raffinatezza e modalità di lavorazione. E’ possibile notare il fatto che vi sono mura le quali presentano l’utilizzo di tecnologie, ma pure altre mura che non la palesano. Di fronte a questo dato di fatto occorre stabilire se le mura che non palesano l’utilizzo di tecnologia sono precedenti o seguenti le altre. L’ovvietà proporrebbe il fatto che queste siano le mura megalitiche più antiche, ma nulla esclude la possibilità che ad un certo punto la tecnologia precedente non fosse più disponibile, pertanto le mura megalitiche erano costruite in modo rudimentale. Mediante il presente articolo si adotterà il presupposto in base al quale le mura che non presentano l’utilizzo di tecnologia sono le più antiche, poiché quantomeno apparentemente più probabile, quindi:


TIPOLOGIA 1
La tipologia 1 è quella in cui si ritrovano mura con massi ciclopici posti in loco senza che vi sia stata una preventiva preparazione degli stessi, se non in misura minima e senza tracce di malta. La lavorazione non propone presenza di tecnologia neppure minima in quanto a smussature per migliori accostamenti.
Di fronte a queste mura (foto sotto) resta da stabilire la soluzione adottata circa lo spostamento del peso. La presenza in quei tempi di giganti alti sino a mt.8 e oltre, ovvero quattro volte un umano medio, potrebbe far ipotizzare una forza fisica pari a quattro volte la nostra, pertanto se noi oggi spostiamo kg.80, moltiplicando X4=320. Possiamo anche ipotizzare che la forza di costoro fosse il doppio della nostra, quindi 160X4=640, ma siamo ancora ben lontani dallo spostare taluni massi di queste mura. Il tutto potrebbe diventare invece ipotizzabile, seppure se non provato, se si presuppone la presenza di più individui, a maggior ragione se dotati di strumenti/macchine seppure rudimentali.


1-muri ciclopici rudimentali

Esempi di mura tipologia 1 possono essere le due soprastanti foto. La 1/A da Caserta ci fa vedere un alloggiamento di massi senza o poca preparazione preventiva. La foto1/B da Chieti, ci fa vedere una approssimativa e preventiva preparazione dei massi. Mura del genere sono presenti in grande quantità in Italia.

TIPOLOGIA 2
Il passaggio dalla tipologia uno alla due evidenzia un cambiamento in gioco non indifferente, non essendo ipotizzabile l’improvvisa disponibilità di tecnologia. Ciò comporta un enorme lasso di tempo in gioco per un progressivo cambiamento.

A differenza della tipologia 1, la 2 presenta massi che hanno certamente avuto adattamento tecnologico in fase di posa. Si tratta ora di stabilire quale è stata la modalità adottata. Non regge per quanto riguarda l’aspetto pratico, l’idea cattedratica in base al quale i massi sono stati preventivamente modellati secondo la necessità e poi posti in loco. Più logico e fattibile è l’adattamento durante la posa, ma ora occorre spiegare per quale motivo i lati in aderenza non presentano scalpellature, eppure sono molto ben eseguiti e, non regge l’ipotesi dello sfregamento mediante pietre più dure, anche perché poi occorre spiegare come sono stati eseguiti gli angoli.


2- accostamenti di buona fattura

La faccia in vista è perfettamente piana, (mura di Alatri) ma non in tutti i casi (Plevrona), poiché vi sono mura con massi esteticamente similari in quanto agli accostamenti, mentre invece sono diversi per quanto riguarda la parte in vista. Questo riscontro potrebbe far ipotizzare che prima di essere alloggiati in aderenza, i massi erano sottoposti ad una lavorazione preventiva della facciata, la cui rifinitura variava di caso in caso.
Notata in passato la straordinaria capacità di accostare i massi, storici del passato in merito a tale tecnica di accostamento, hanno ipotizzato l’uso di seghe che oggi si potrebbero avere mediante l’uso di filo diamantato. Qui compare certamente l’uso di strumentazione tecnologica qualsivoglia possa essere. Se noi immaginiamo un seghetto con filo diamantato di grosse dimensioni in mano ad un essere gigante, l’accostamento dei massi come si vede nelle foto 2/A e B, non è più una assurdità impossibile.
Poi si evidenzia il fatto che queste mura sono “poligonali” in quanto i massi presentano un numero variabile di angoli e, qui compare altro aspetto non da poco. La logica costruttiva di oggi, ma presente pure nel passato, dimostra il fatto che per la costruzione di mura, per un certo verso è più razionale e fattibile la preventiva squadratura come da tipologia 4 a seguire. Perché allora adottare il sistema poligonale? A questa domanda in molti hanno risposto adducendo la migliore stabilità antisismica, ma tale tesi poi non regge affatto. Mura poligonali sono state riscontrate in zone non sismiche e mura non poligonali in zone sismiche, pertanto tale tesi non regge. A Cuzco ci sono mura poligonali che hanno ceduto e altre non poligonali che hanno retto, quindi occorre andare oltre.
Occorre tenere presente che le mura ciclopiche erano costruite con materiale che nella maggior parte dei casi proveniva da cave lontane, pertanto era necessario razionalizzare il tutto riducendo lo spreco. A questo punto due potevano essere le logiche da seguire: o squadrare preventivamente i massi nelle cave e poi portarli nel luogo di posa (mura di tipologia 4 questo fanno presumere), oppure si portavano i massi di forma naturale nel luogo di posa e, qui si adattavano all’esigenza, riducendo al limite lo spreco.
Ad un riscontro pratico, il sistema poligonale dimostra di generare il minimo scarto, pertanto la massima resa, ma pure una lavorazione maggiore. La squadratura genera molto spreco se applicata a massi dalle forme casuali come si riscontrano in natura. Altra cosa è se avviene il taglio in cava il quale già prevede la squadratura. Occorre poi evidenziare il fatto che molto probabilmente i costruttori disponevano di forza lavoro e/o tecnologica in grado di far diventare facile la modalità costruttiva poligonale, altrimenti non si sarebbero resi artefici delle bizzarrie riscontrabili.


TIPOLOGIA 3
La tipologia 3 presenta una estetica similare alla 2, ovvero massi ciclopici aderenti e poligonali, i quali però manifestano una estetica diversa per quanto riguarda la facciata e l’aderenza di livello superiore. I massi presentano aspetti anomali non riconducibili a forme di taglio o scalpellature, mentre invece per le aderenze tra di loro è proprio un taglio in perfetta aderenza quello che si potrebbe ipotizzare, ma non realizzato mediante ipotetiche varianti di seghe diamantate o meno. Oppure, come in seguito scopriremo, la tipologia 3 era realizzata come la 2, ma poi subiva ulteriore intervento sia in fase di costruzione oppure di distruzione. La tipologia 3 è quella che meglio si riscontra a Sacsayhuamán presso Cuzco in Perù.
Di fronte a quanto qui si riscontra, occorre porre alcune domande che in genere sono evitate. La prima è se tale estetica è il risultato circa la modalità di lavorazione iniziale, oppure se tale estetica è il risultato conseguenziale di quanto poi avvenuto a livello distruttivo. Senza questa domanda e questa risposta, ogni ipotesi in merito a come sono stati creati questi muri, non può avere risposta logica. Onde tentare di avere la corretta risposta, occorre partire dalla foto sottostante al quale fa seguito la domanda: queste mura sono così poste in quanto non ultimate, oppure in quanto ultimate e poi distrutte? Se mai sono state ultimate è cosa tutta da scoprire, ma che sono state distrutte è cosa certa, poiché il sottostante ingrandimento lo dimostra in modo inequivocabile. Lasciata la pista relativa alla distruzione, pista che verrà percorsa in altra occasione, ora andiamo a considerare l’ipotesi costruttiva e qui altra considerazione: se così come vedo queste mura è quanto rimasto dopo la distruzione; come posso pervenire ad avere un quadro corretto circa come erano dopo l’ultimazione? La risposta non deve essere superficiale, poiché qualcosa di non ipotizzato sino ad ora potrebbe essere entrato in gioco.
3 – Sacsayhuaman

La soprastante foto conferma in modo inequivocabile il fatto che le parti di mura in basso non sono state smosse da eventuali terremoti, mentre è l’opposto nella parte superiore dove il terremoto, non quello comunemente inteso, è avvenuto eccome! Il riquadro in giallo non lascia scampo! Questo però è parte dell’azione distruttiva mentre ora andiamo dietro a quella costruttiva.
La sottostante freccia rossa indica un esempio di come in certi punti questa tipologia 3, presenta roccia che rilascia uno strato superficiale che tende a staccarsi o sfogliare. Siccome la sfoglia è riscontrabile nei massi di tipologia 3 che presentano pure un aspetto debordante in avanti, diventa necessario domandarsi se la causa che ha generato la sfoglia e del debordare è stata la stessa e, quanto di tutto ciò è avvenuto in fase costruttiva o distruttiva. A questo punto sorge l’ipotesi non remota in base al quale ciò che si riscontra sarebbe avvenuto in quanto il muro è stato sottoposto a forte irradiazione di calore, tale da rendere la roccia semisolida. La solidità parziale, se già non utilizzata in fase costruttiva per generare le aderenze, potrebbe essere poi stata generata anche dall’azione distruttiva.

4 – Sacsayhuaman anomalie superficiali

A questo punto occorre considerare una ipotesi nuova ma per nulla assurda, ovvero le mura di tipologia 3 di Sacsayhuaman, potrebbero essere della stessa tipologia 2 di Alatri, con la differenza che questa non ha visto l’utilizzo del calore irradiato, sia per costruire quanto per distruggere!


TIPOLOGIA 4
La tipologia 4 non si presenta ovunque come ciclopica in quanto a dimensione delle parti, è però presente in entrambe le dimensioni e ciò potrebbe far supporre che le parti componenti erano preparate presso le cave. Quindi esattamente come evidente dalle sottostanti immagini di Cuzco, mentre si costruivano mura ciclopiche poligonali, si costruivano pure mura non ciclopiche e non poligonali. Qui si riscontrano blocchi con lunghezze tutte diverse ed altezze tutte uguali, preventivamente preparati in serie con precisione millimetrica.
5-blocchi con altezze uguali e lunghezze diverse.


TIPOLOGIA 5
Mentre mediante la tipologia 3 vediamo massi poligonali ricavati da massi preesistenti; mediante la tipologia 5 vediamo blocchi di enormi dimensioni ricavati da estrazione in cava. Mediante la sottostante immagine, vediamo quanto presente presso Ollantaytambo (Perù) dove, ancora una volta emerge la finalità difensiva delle costruzioni megalitiche. Certamente osservando la posa di questi sei blocchi emerge la domanda in merito a cosa servissero se posti mediante questa modalità, ma occorre ricordare che non siamo in grado di stabilire se quanto visibile è il risultato di un’opera non ultimata, oppure di un’opera distrutta.
Di fronte a questi sei blocchi, molte persone si sono scervellate. Quale il senso di tutto ciò? Quale il senso di quelle cinque strisce poste a giuntura? Anche questi sei blocchi paiono essere stati sottoposti ad irradiazione e quindi a forte riscaldamento e per conseguenza a deformazione. Sulle facciate è presente la caratteristica sfoglia, cosa che in natura in questo modo non si riscontra. Sono poi presenti tracce che inducono a supporre una sorta di spatolata a caldo. Accettare una tesi del genere è cosa ardua, ma le conferme quantomeno estetiche sono ripetitive. Poi vi sono le tipiche protuberanze, riscontrate anche in molti altri luoghi. Il tutto farebbe presupporre che questi sei blocchi non si presentano come da costruzione ultimata, ma come da distruzione avvenuta.

6 – Ollantaytambo e Baalbek

Certamente questi sei massi sono stati portati lì (lasciamo stare per ora il come) dopo essere stati estratti dalle cave e ciò che sconcerta è il peso. Evidentemente in quei tempi il peso non era un problema, se la stessa domanda sorge di fronte all’enorme masso della foto 6/B. Questo è il masso mancante presso la base di Baalbek, dove ipoteticamente doveva essere inserito in quanto manca proprio un masso uguale.
Questo masso impone la domanda: il masso è stato portato da Baalbek nel luogo dove si trova ora, oppure il masso a Baalbek non ci è mai arrivato? Una certa logica farebbe preferire l’idea in base al quale il masso era sul percorso di andata a Baalbek, quando è avvenuto l’imprevisto arresto e, la posizione in cui si trova farebbe pure ipotizzare che sia caduto dall’alto!

TIPOLOGIA 7
Ci troviamo a Puma Punku e qui si riscontra una logica costruttiva diversa rispetto altrove. In questo caso vediamo che preventivamente sono stati costruiti in serie dei blocchi tutti uguali. In questo caso nulla prova che l’intento era quello di costruire delle mura, anche perché se così fosse, probabilmente gli elementi sarebbero stati realizzati ad incastro. Ciò che sconcerta in merito a questi elementi, è la raffinatezza della lavorazione, sconcertano i piccoli fori tondi, perfetti angoli e sorta di canaline, come se il tutto fosse stato fatto mediante l’utilizzo del laser.


7 – Puma Punku

Altro aspetto che sconcerta l’osservatore, è il fatto che il materiale del quale sono fatti i blocchi, parrebbe essere costituito da geo/polimeri; in sostanza della roccia artificiale. Questo è uno dei motivi per il quale oggi si tende ad applicare la tesi dei geo/polimeri ovunque vi sia costruzione megalitica. Ricordo che la tesi dei geo/polimeri non la si può sostenere come minimo dove sono presenti le cave della pietra e dove i blocchi sono di enormi dimensioni, in quanto se di geo/polimeri si tratta, il tutto sarebbe stato posto direttamente e più facilmente in loco mediante monoblocchi di più modeste dimensioni.


TECNOLOGIA UTILIZZATA
La versione storica propinata dal potere mediante servitori fedeli, in passato ci ha presentato una umanità che inizia a costruire sedi abitative o difensive mediante lavorazione della pietra, a partire dal 2000 ac. Questa tesi con il passare del tempo è andata retrodatando sempre più le possibilità umane. Ciò che ancora è tenuto nascosto, è il fatto che prima dell’attuale periodo di circa 4000 anni, è esistito un periodo in cui due fazioni quantomeno umanoidi ma certamente molto avanzate tecnologicamente, si sono scontrate.
Queste due fazioni provenivano entrambe da civiltà altamente evolute quantomeno sotto l’aspetto tecnologico seppure non certamente spirituale; motivo per il quale avevano a disposizione, alta tecnologia sia costruttiva quanto distruttiva. La lotta tra le due fazioni dette origine a quella che venne definita “TITANOMACHIA”, ovvero lo scontro tra gli dei del monte Olimpo contro gli dei del monte Otri. La vittoria degli dei del monte Olimpo, fece poi sì che gli dei preolimpici scomparissero tra le pieghe del tempo emarginati quali forze primordiali e, se oggi qualche traccia archeologica è notata, si fa passare che il tutto è opera dell’idolatria religiosa del passato.
In base alla mitologia greca, gli dei che facevano capo ad Urano, generarono tre ciclopi (Bronte, Sterope e Arge) e tre Ecatonchiri chiamati Cotto, Briareo e Gige. Valutando questa mitologia in relazione a quelli che sono i riscontri archeologici, queste erano tecnologie belle e buone per le costruzioni difensive. Non per nulla gli ecatonchiri erano detti i centimani (fantasiosa immagine sottostante) che nel linguaggio attuale potrebbe essere tradotto in quello di enormi robot tuttofare. Tutto questo potrebbe apparire quale fantasia, ma proviamo a considerare quanto la robotica umana di oggi sta realizzando.
Quando poi si va al riscontro archeologico si scoprono cose da pazzia, soprattutto per quanto riguarda le tecnologie che allora gli dei avevano. Tra le tecnologie a disposizione, certamente avevano tecnologia atta sia a costruire quanto a distruggere mediante la fusione totale o parziale della pietra. Dove la roccia è stata intenzionalmente fusa, ancora il riscontro è presente mediante la vetrificazione non naturale.
8 – rappresentazione fantasiosa di un ecatonchiro

Se si accetta tale tesi, ovvero che la tecnologia di allora consentiva la lavorazione della roccia, diventa automatico accettare il fatto che costoro disponevano di sorta di raggi laser in grado di irradiare e pertanto ammorbidire la roccia, al punto che a Sacsayhuaman è ancora possibile riscontrare negli angoli interni delle mura, dei massi che paiono piegati! L’irradiazione consentiva di adattare in perfetta aderenza i massi poligonali che oggi tanto ci lasciano basiti. La stessa tecnologia se indirizzata in modalità distruttiva, consentiva una irradiazione che fondeva la pietra sino ad arrivare a dissolverla spazzandola via.
Quanto affermato si potrebbe assegnare ad un malato di mente, ma in seguito andremo a cercare le conferme laddove l’azione è stata distruttiva e le tracce ancora sono presenti alla faccia dei cattedratici. Poi, mentre vado pubblicando il presente articolo, passa davanti gli occhi la seguente fotografia, quindi strane fantasie ora popolano la mia mente generando la domanda: qui gli antichi hanno tratto ispirazione?

9 – White Pocket Colorado

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